Emanuele Santoro, nel suo adattamento e nella sua impostazione registica, ha messo in rilievo l'aspetto del linguaggio. (…) anche in qualità di scenografo, è molto bravo a dotarsi di pochi elementi indiziari di esemplare forza emblematica. Luci e ombre. Una cupezza dominante da cui emergono le figure dei parlanti, un modo per rendere plastica anche qui la metaforicità del linguaggio. (...) è un Otello dalla sensibilità moderna, fragile, nevrotico, privo della nobile solennità di un generale eroico. È un Otello amletico fin da subito, facilmente preso nelle spire del dubbio e delle ossessioni visionarie che lo tormentano e lo sobillano con le voci notturne dell'inconscio, e dell'incubo onirico, come effetto del veleno instillato da Jago."
GIORNALE DEL POPOLO, 20 marzo '10
Emanuele Santoro cala la tragedia del moro di Venezia in un ambiente astratto ma convincente. Potrebbe essere un accampamento ma anche un mattatoio, con uncini calati dall'alto e catene che finiscono per avviluppare i personaggi; così come le lenzuola del letto di Desdemona sono reti in cui la donna innocente resta impigliata finché il marito che si ritiene (ingiustamente) tradito con le reti stesse la strangola. Una scenografia quasi pinteriana, che suggerisce l'incombente minaccia..
CORRIERE DEL TICINO, 10 marzo '10
Una trama perversa che pian piano trasforma l'essenziale scenografia dalle catene sospese e ganciate («per appendere i dubbi») in una ragnatela che intrappolerà la ferocia del Moro nella morsa fatale. Santoro convince per la sua sobrietà.
Azione 20 marzo '10
Lo spettacolo
"Cercherò di farmi benvolere e ringraziare e ricompensare dal Moro dopo aver fatto di lui un perfetto asino e avergli tolto la fiducia e la tranquillità fino a renderlo pazzo. Ecco il mio progetto, ma ancora impreciso" (Iago)
Otello, natura lineare e priva di chiaroscuri, esprime un mondo di valori assoluti, in cui le cose sono quello che sembrano. In lui non c'è posto per l'incertezza, e credere a Jago non è ingenuità ma l'impossibilità di avere un dubbio. Ma quando questa mancanza di dubbi riesce comunque a partorire e insinuare un dubbio ecco che questo dubbio ha il potere di farsi certezza e generare una realtà immaginaria. Allora la certezza del tradimento di Desdemona diventa una tragedia che va oltre la sofferenza dell'amore tradito o dell'onore offeso: è la disintegrazione del mondo di valori di Otello. Otello si trasforma, anche nel linguaggio, che si fa simile a quello di Jago in una dinamica di involontaria identificazione. L¹amore, da estasi e incanto, si trasforma in passione distruttiva, ossessione, follia. Otello scivola nel buio vorticoso della propria mente. Ma a portarlo alla rovina e all¹omicidio non è la gelosia, bensì la sua ingenuità, drammaticamente miscelata alla sua fierezza. La stessa fierezza che, dopo avere scoperto la verità, lo riporterà alla sua vera natura e al suo linguaggio originale e gli farà compiere il gesto estremo di togliersi la vita. Quanto il mondo di Otello è legato a valori assoluti, poetici, tanto quello di Jago è un mondo di relatività e filosofia. Lui non è quello che è. Lui è la sostanza di cui si nutre l'irrealtà che domina la tragedia. In Otello non hanno peso le realtà concrete ma quelle immaginate da Jago. Il perfido, astuto, insinuante, affascinante Jago. Penso a Emil Cioran: Il male, al contrario del bene, ha il doppio privilegio di essere affascinante e contagioso. Infatti, Jago ha tutto il fascino dell'intelligenza e tutta la crudeltà e la pericolosità dell'intelligenza al servizio del negativo. Ma, nonostante questo, resta fondamentalmente un personaggio da commedia. La tragedia di Otello è una beffa, una burla che Jago drammatizza, nel senso di scrittura. Come Amleto, Jago avverte l'inconsistenza della propria identità. Prova disprezzo verso gli altri e verso l¹ordine costituito, e non solo perché non è il luogotenente di Otello. Allora tesse una trama da apprendista drammaturgo che lui stesso continua a cambiare seguendo la sua immaginazione e l¹evolversi delle situazioni. Come Amleto, non trasforma i suoi pensieri in azioni, ma in nuovi pensieri. Ma personaggi e trama gli sfuggono di mano (sarà poi Otello a volgere il tutto in -inutile- tragedia). Ma, alla fine, la forza corrosiva della sua immaginazione non potrà che ritorcersi su se stessa e Jago conclude con d'ora in poi solo silenzio, che ancora una volta ci ricorda il resto è silenzio di Amleto.
Emanuele Santoro, marzo 2010.
Adattamento
scenografia e regia
Emanuele Santoro
Con
Emanuele Santoro
Antonio Ballerio
Caterina Righenzi
Alessandro Morza
Massimiliano Zampetti
Laura Rullo